Questo articolo esamina le dimensioni socio culturali dietro a precise scelte di salvare equini alla fine della loro carriera lavorativa.
In particolare, si occupa del dibattito sul salvare gli indesiderati, toccando non solo il tabù culturale sul consumo del cavallo a carne e le preoccupazioni sulla crudeltà, vera o presunta del loro trattamento, durante e a fine carriera, ma anche su ciò che accade a tali cavalli quando vengono salvati da quella che potrebbe essere una loro fine peggiore.
In particolare, cosa rende un cavallo desiderabile per il suo "salvataggio"? Che tipo di vite equine vogliono salvare particolarmente i gruppi organizzati pro equini e perché? Cosa dice dell'etnografia di un popolo la scelta di “salvare” gruppi specifici di equini, anziché altri?
Ad esempio, parlando di Horse Angels, benché poi l'associazione abbia mutato la sua forma negli anni, era nata 11 anni fa - tra le prime del suo genere - con l' input del ricollocamento dei trottatori, per salvarli dalla macellazione o dalle corse clandestine, una scelta che caratterizza anche altre associazioni, strutturate o di fatto, esistenti oggi in Italia. In effetti, ci sono più persone in Italia dedicate a questo specifico scopo, di quante non ne esistono per il ricollocamento di altre razze equine.
Il trottatore è oggi in Italia il capitale di riscatto più attenzionato anche dalla politica.
Questa pratica, di salvare i trotter a fine carriera, potrebbe rendere culturalmente significativa l'Italia in un panorama internazionale sui temi di etica per i cavalli da lavoro, anche per via dei problemi specifici che il mondo del trotto italiano solleva. Da una parte l'allevamento italiano di trotter è tra i migliori al mondo come risultati sportivi, dall'altra i trottatori a fine carriera finiscono spesso al macello, alle corse clandestine, finiscono nel settore degli attacchi turistici (esso stesso assai contestato da associazioni animaliste generaliste); oppure, attraverso il lavoro di tante associazioni, anche freelance, nel mondo dell'equiturismo e affini. C'è un ricollocamento primario, dalla pista all'impiego successivo, e un ricollocamento secondario, quello che avviene ad esempio attorno agli attacchi turistici, dalle botticelle alla pensione di fine carriera (di questo in Italia si occupa al momento solo Horse Angels).
Questa pratica del salvataggio dei trottatori, comporta una rivalutazione costante del valore morale ed economico dell'ippica. Non c'è dubbio che le associazioni che si dedicano a questo ricollocamento, sono le uniche che avvicinano o sono avvicinate dall'ippica. Le vite animali non umane che erano state precedentemente emarginate dai loro proprietari ippici, trovano attraverso il ricollocamento una loro definizione di capitale italiano riscattato, e pongono un debito implicito dovuto ai redentori.
I cavalli salvati sono i fuori pista, i cavalli che non sono stati all'altezza del loro potenziale di razza, o quelli che hanno terminato la carriera. Tra i trotter ricollocati figurano anche quelli sequestrati alle zoomafie perché venivano fatti correre in strada, piuttosto che per altre irregolarità, negligenze o maltrattamento.
Ma perché l'attenzione maggiore è riservata ai trotter, piuttosto che ad altre razze equine italiane? Questi cavalli sono anzitutto un capitale economico, ovvero qualcuno investe abbastanza tempo e denaro nell'allevare, acquistare e addestrare un trotter per raggiungere i livelli di agonismo.
Quando un cavallo raggiunge questi livelli, appartiene al mondo delle corse / l'industria - che ha risorse, ma che soprattutto vive di risorse pubbliche, più di quanto succede per altre razze di cavalli allevate in Italia.
Il loro declino e l'invisibilità a fine carriera è deplorevole, non solo per il singolo proprietario, ma anche per l'investimento di denaro pubblico che ha sostenuto quel cavallo in carriera. Alla fine della carriera un trotter viene inoltre regalato, o venduto al prezzo della mera carne, rendendo più facile per chi salva cavalli attenzionare il pubblico sul fatto che prendere quel cavallo, piuttosto che un altro, lo salva effettivamente dal macello.
I cavalli da corsa, benché non godano di questo status in Italia, potrebbero tranquillamente, e anzi dovrebbero, godere di una speciale tutela giuridica come cavalli da lavoro. Il loro abbandono a fine carriera mette a nudo la possibilità di sacrificabilità di una vita lavorativa su cui ci sono stati investimenti pubblici onerosi.
Nati, cresciuti, addestrati, allevati per le corse, questi cavalli hanno rapporti stretti con gli esseri umani, conoscono se stessi (sono dotati di senzienza elevata) e hanno cultori specifici, che ne apprezzano particolarmente la docilità e versatilità.
Cavalli con alle spalle quel tanto lavoro di capitale umano, arrivano a incarnare significati speciali. Chi li salva tende ad attribuire al gesto un forte senso patriottico, che non potrebbe esserci nel salvare un cavallo allevato per la carne, o che non ha un passato di debito pubblico.
Dato tutto ciò che è costruito attorno a un cavallo da corsa - come ideale collettivo in un popolo che ha ancora a record nazionale di prestigio il vivente Varenne - quando un tale cavallo viene poi "abbattuto", l'audacia di farlo può essere vista come sinonimo di scarsa umanità.
Tutto questo è basato sul fatto che un trottatore lavora e guadagna denaro "proprio come un essere umano che lavora". Vale a dire, il capitale economico che un cavallo da corsa produce nella sua vita, dovrebbe garantirgli un trattamento pensionistico a fine carriera.
Il fatto che lo stato italiano non ci pensi, e investa così tanti soldi nell'ippica, e zero soldi nel ricollocamento, costituisce la base per il capitale di redenzione portato avanti da così tanti gruppi di ricollocamento in Italia, qualcuno dei quali fondato e diretto da stessi ippici.
Adottare un trotter significa diventare redentori di capitale italiano. Non può essere di certo la stessa cosa adottare un cavallo di razza straniera di precedente proprietà di un privato, con il quale lo stesso svolgeva una attività non "pubblica" e non finanziata dallo stato. Anzi, il solo fatto che tali persone pretendano che il loro cavallo, quando non gli serve più, debba essere mantenuto da altri, solleva non poche obiezioni sui social, tanto che sono diverse le associazioni animaliste che si rifiutano di ricollocare direttamente i cavalli di privati "stufi" di mantenere il proprio equino.
In genere, chi riscatta un cavallo da corsa in Italia, ci tiene particolarmente a conoscere il suo pedigree, cosa ha fatto nella vita, quanti soldi ha vinto, come è uscito dal circuito, attraverso quale associazione è stato riscattato o adottato.
C'è chi sottolinea di aver offerto una seconda carriera, ad esempio questo è l'orgoglio di chi con i trottatori si occupa di equiturismo o attacchi turistici, chi sottolinea di essere l'artefice della "casa a tempo indeterminato", poiché il cavallo è mantenuto al solo scopo affettivo. C'è anche chi si sente di meritare il plauso per il ricondizionamento del cavallo per una nuova carriera atletica, ad esempio nell'ambito degli sport equestri, e che fa di questo un particolare motivo di stima, perché "tutti sono buoni a comperarsi un cavallo già fatto", ma loro ne hanno salvato uno dalla macellazione sicura, lo hanno "riabilitato" e "dimostrato che un indigeno (altro nome dei trottatori, come dire un italiano qualunque) può fare qualsiasi cosa". La nuova valenza del cavallo è resa per costoro ancora più significativa e saliente grazie alla transizione da scarto a recupero in un'economia sostenibile.
Le implicazioni per l'adottante. Perché è stato scartato? Perché non potevano trovare una casa legittima per lui? Perché, quando hanno smesso di farci i soldi, l'hanno "buttato via"? Raccogliere lo scarto altrui e valorizzarlo, è il vero "premio" che dà un valore a chi lo riscatta. Grazie a questa azione significativa, il riscattante pone il suo cavallo nel network dei cavalli italiani, attribuendo al cavallo un valore in più rispetto a quelli comperabili "per i quali basta avere i soldi, non è necessario avere il cuore".
E' il riscatto del "mezzano", tale diventa il trotter nella coscienza collettiva degli italiani una volta uscito dalla pista, implicando l'idea di normalità più che di mediocrità.
Questo è vero particolarmente in quell'humus di persone interessate ai cavalli, che non hanno però un potere di acquisto elevato per cavalli da sella "da soldi", ovvero allevati appositamente per i concorsi di sport equestri.
La mistica dei trottatori in Italia è stata segnata dallo scandalo della macellazione di cavalli potenzialmente dopati e dal crimine delle corse clandestine in cui i trottatori fuori pista vengono gestiti dalla zoomafia. Tale epopea del salvataggio, è ulteriormente accresciuta dall' indignazione di molti per la seconda vita dei trottatori come cavalli da attacchi turistici - benché i botticellari si sentano a loro volta diversamente animalisti che riscattano trotter a fine carriera, evitando agli stessi cavalli di peggio.
In conclusione, non c'è dubbio che i trottatori godano di attenzione speciale in Italia e siano in un osservatorio permanente al fine che sia creato un movimento per emancipare culturalmente e sentimentalmente l'ippica prestando attenzione al pensionamento dei cavalli.
La cosa più giusta sarebbe che, dalle esigenze redentive delle corse di cavalli, nascesse il primo programma italiano strutturale di ricollocamento a fine carriera, che verta proprio sui trottatori, che abbiano terminato di tirare il sulky o il calesse in piazza.