“Un, due, tre, fante, cavallo e re”.

Nel parlato e nel sentire comune, fante e cavallo vanno sempre in coppia, riflettendo una relazione, quella tra l’uomo e l’animale, fatta di momenti di reciproca conoscenza, che approda infine a stima e fiducia l’uno nell’altro. Nell’iconografia, cavallo e fantino sono spesso rappresentati insieme anche se il nome stesso “fantino” suscita qualche curiosità, visto che si tratta di un soldato a piedi. Secondo i dizionari più accreditati, “fante” deriva in primis da “infante” e dunque la parola significa a tutti gli effetti “bambino”. Tuttavia è il secondo significato del termine, ovvero “servitore” o “garzone” ad avere attribuito questo nome a chi monta cavalli nelle corse, in quanto lo stesso è stato trasferito, negli anni, al campo militare, o almeno a partire dal XVII secolo, anno in cui se ne trova traccia nelle Note al Malmantile. Non si sa bene perché colui che monta cavalli a livello professionale abbia iniziato ad essere chiamato “fantino”, ma si ipotizza che sia per la giovane età dei primi fantini, non dimenticando la primaria accezione del vocabolo.

Detto questo, quello che rimane certo è che il fantino e il suo cavallo rappresentano quasi un’entità unica all’ interno delle corse, e ciò dipende anche dalla natura delle stesse, se si pensa che il galoppo, incentrato su percorsi da 1 a 3 chilometri, può raggiungere anche i 70 chilometri orari in velocità. In questo percorso il cavallo, non conoscendo la collocazione della linea del traguardo, ha bisogno di istruzioni precise e di un costante allenamento. Il training, però, avviene di concerto, perché il cavallo, animale contraddistinto da una certa intelligenza ma anche da una forte impulsività, deve imparare a fidarsi del suo fantino, instaurando con lui una relazione fatta di intesa e rispetto.

Non a caso il fantino, a parte il livello non agonistico e amatoriale, è un vero e proprio professionista, e il suo cavallo inizia a riconoscerne la presenza anche dal tipico abbigliamento, a partire dal cappello dei colori della scuderia, che in gergo viene chiamato “cap”, termine peraltro comune a quello di altri sport, come la Formula 1. Anche la fisicità del fantino ha letteralmente un proprio “peso”, visto che, per ottenere la patente dall’Unire, servono alcuni requisiti, tra cui un peso non superiore ai 57 chilogrammi.

Nondimeno conta il nome del cavallo, poiché si tratta del vero protagonista della gara: il Jokey Club è un’organizzazione incaricata di registrare i nomi dei cavalli da corsa, e può anche sollevare delle perplessità nel caso in cui l’appellativo abbia origine o significato poco chiaro. Se l’empatia parte, anche dalla scelta del nome, l’addestramento è un percorso a tappe, lungo e non sempre facile, ma molto soddisfacente, indipendentemente dagli esiti delle gare che, come si sa, sono sempre imprevedibili.

Quello che conta è avere pazienza, mentre il jockey deve riuscire nell’impresa di ispirare autorevolezza ma anche fiducia nel sentire dell’animale, soprattutto prendendosi cura di lui ed avendo a cuore la sua salute fisica e mentale. Insegnare un cavallo a girarsi, a indietreggiare, e altre “mosse”, fanno parte di un sistema di training che deve procedere per gradi, senza dimenticare le ricompense, per cui l’animale avrà capito di avere fatto bene. E se il cavallo sbaglia? Probabilmente avverte dolore, o non riesce a soddisfare una richiesta: proprio come un bravo genitore, la punizione deve essere una correzione, e mai violenta: basta premere una mano sulla groppa dell’animale, in modo deciso, oppure, come fa il capobranco, dargli un pizzicotto, sempre sul torso.

L’imprevedibilità dei risultati è uno dei motivi che fa di questo sport una passione per tanti italiani, non solo per appartenenza alle contrade dei Palii Storici, ma anche all’ippodromo. Sia chi assiste come spettatore, sia chi sceglie di piazzare puntate in agenzia o di registrarsi e giocare sui siti di scommesse sui cavalli, sa che nessun risultato può essere predeterminato, e le variabili in gioco sono tante, a partire proprio dal rapporto fantino/cavallo. Per questo motivo, nel campo del betting autorizzato - su cui, secondo i dati ufficiali, lo scorso anno sono stati spesi 31,8 milioni di euro, quote e pronostici sono numerosi e aggiornati di frequente.

L’attesa dell’esito è dunque sempre particolarmente concitata.

Come si è visto, arrivare a risultati di eccellenza come quelli conquistati dai fantini più celebri non è cosa semplice.

Tornando ai Palii Storici, prima di una gara importante, un bel passeggio rilassante può avere un ottimo influsso di energia buona sul cavallo, come quando, durante il Palio di Siena di qualche anno fa, il fantino Andrea Mari, detto Brio, fu visto e fotografato a spasso con il suo Morosita, attirando l’attenzione e l’ammirazione di contradaioli e passanti.

Sempre da Siena, un aneddoto, risalente alla fine degli anni 70: il cavallo Ciocio, per la contrada la Torre, partito in modo ottimale ma poi rimasto fermo dopo una caduta, si rialzò di botto dopo due pacche di incoraggiamento da parte del suo fantino, conquistando così una ormai non più sperata vittoria.

Intanto, tornando al presente, sono stati ufficializzati i fantini e i cavalli del Palio di Ferrara, disputato in notturna sabato 27 maggio.

Durante questi eventi, esiste tutto un rituale preparatorio che suggella il rapporto di intesa tra fantino e cavallo: ad esempio la Cavalcata dell’Assunta include anche un cerimoniale di benedizione del jockey e del suo animale.

“Vai e torna vincitore”, si dice. Dopotutto, chiudendo con un proverbio: “A caval che corre, non abbisognano speroni.”

Ma questo un buon fantino lo sa.