Dammi una parola e ti cambierò il mondo.
La «parola» non è neutra, ma contiene valore, tradizioni e anche pregiudizi.
E così rinnovare le parole serve anche a evolvere la società, per bandire ad esempio razzismo, classismo e discriminazioni di genere.
Nel linguaggio equestre inglese il vocabolo cavaliere è stato abolito già da molto tempo, giacché i "knights" non esistono più da un pezzo e definivano in passato una casta di combattenti a cavallo di origine aristocratica.
E' stata sostituita dalla parola rider, in italiano ciclista, che si applica comunemente sia a chi va a cavallo, sia a chi va in bici, sia a chi va in motocicletta. Raramente viene anticipata dalla parola equestrian-rider o horse-rider, perché è il contesto stesso che permette la declinazione, senza bisogno di specifiche. E' chiaro infatti che, in uno scritto o parlato sui cavalli e l'equitazione, per rider si intende chi va a cavallo.
Se ci ostinassimo a usare parole inglesi, significherebbe attribuire alla cultura anglassone maggiore valore rispetto a quella latina, o di altra estrazione geografica, perpetuando discriminazioni di razza che stanno rovinando il mondo.
In italiano la traduzione oggi viene fatta coincidere spesso con la parola pilota, ovvero la persona che guida qualcosa o qualcuno, nel caso il cavallo.
L'italiano stesso però è una lingua antica che ha bisogno di essere rinnovata per mettere al bando molti termini classisti e razzisti.
Questo è il caso della parola cavaliere, che definisce un uomo, non una donna, e colui che appartiene ai ceti sociali dei ricchi e può permettersi di affrontare il circuito degli sport equestri agonistici, accedendo con più facilità rispetto a qualsiasi altro a finanziamenti pubblici.
Ebbene, proponiamo di abolire nell'accezione comune di chi va a cavallo la parola cavaliere, in quanto non definisce tutti coloro che praticano equitazione, ma solo una piccola nicchia di persone: ricche, bianche, di sesso maschile, che praticano il circuito degli sport equestri olimpici a livello avanzato.
Quando mai una persona che fa equitazione di campagna, o pratica la monta americana, si autoriferirebbe come "cavaliere"? Un termine di per sè già obsoleto... perché cavaliere aveva senso nel Medio Evo, nel sistema di caste feudale.
Il termine è stato abusato, e oggi indica - anche in modo dispregiativo - un privilegiato. Quanti "cavalieri" sono stati nominati tali nel mondo dell'industria e del lavoro, gente che non va cavallo, ma cavalieri nel senso arcaico di servitore della patria (come l'antica casta dei guerrieri legati al mondo feudale, che ricevevano il titolo e appezzamenti di terreno dal re, in cambio dei loro servizi militari) per poi essere investiti in scandali per detrazione illecita di risorse pubbliche?
Cosa c'entra il cavaliere con la moderna equitazione?
Cosa servirebbe il cavaliere di oggi in cambio di privilegi pubblici? E' vero che certi impieghi equestri ricevono più finanziamenti pubblici di altri, ma che questo sia ancora giustificato dal gusto popolare, è un altro paio di maniche.
Nell'equitazione contemporanea la base è formata da donne, perché mai dovrebbero sentirsi rinfrancate a essere definite "cavalieri"? Queste donne che vanno a cavallo non servono nessuno, conducono uno sport per diletto nel tempo ricreativo, senza nessuna velleità di conquista politica o geografica e spesso neppure di dominio sul cavallo.
Nell'equitazione contemporanea la base non svolge alcuna attività competitiva indirizzata a conquistare alcun ruolo olimpico.
Per cui cavaliere, può definire al massimo una cerchia ristretta di persone, per di più maschi, che aspira a distinguersi negli sport equestri a carattere olimpico, e che si serve di finanziamenti - o privilegi - pubblici per fare "carriera" nel settore sportivo.
Quindi, perché applicare lo stesso termine indiscriminatemente a tutti nel mondo del cavallo?
Per creare differenza tra chi ha "titolo" per definirsi superiore? Superiore a chi o a che cosa? E in base a quali valori attuali? Perché superiore o inferiore è relativo al sistema di valori, e in democrazia sono i valori del popolo, e non di casta, che dovrebbero forgiare l'uso di parole.
Ad esempio, se il sistema di valori è la tutela equina, cavaliere non significa affatto rispettare i cavalli più di chiunque altro va a cavallo.
Quindi la spocchia di chi si autoreferenzia come cavaliere, per mettersi su un podio più alto degli altri equestri, è oggi abbastanza impopolare, perché fa riferimento unicamente al sistema di valori di casta, privilegio economico, accesso a risorse pubbliche facilitato.
Tanto più che i paladini a cavallo della tutela equina, tra di essi i "sussurratori", che vantano di voler circoscrivere abuso e violenza sui cavalli, mai si autodefinirebbero cavalieri. Preferiscono essere chiamati "horsemen", altro termine sessista, perché contiene la parola uomo, che proponiamo sia abolito per essere tradotto in italiano come equestre etologico, o altro termine asessuale, esattamente come horsemanship oggi può essere tradotto come equitazione non violenta, dolce, etologica, o qualsiasi altro termine, purché non rifletta discriminazioni di genere.
In conclusione, proponiamo che per definire i proprietari di cavalli, e coloro che conducono una disciplina equestre qualsiasi, come noi del resto abbiamo sempre fatto, siano usate parole che aboliscono le discriminazioni su base sessuale, razzista, classista, o di privilegio all'accesso delle risorse pubbliche.
Equestri è un termine neutro ad esempio.
Qualcuno nei manuali usa anche la parola "piloti" perché rider - il termine usato in inglese - già epurato di discriminazioni - in italiano si traduce ciclista, che sarebbe improprio per chi va a cavallo.
Andare a cavallo significa condurre l'animale, quindi anche conduttore può afferire alla pratica, laddove si disquisisce di tecnica o pratica equestre.
Ma cavaliere o horseman proprio no, il primo è arcaico, ed entrambi sono sessisti, quindi diseducativi dal punto di vista affettivo, mentre per risolvere certi problemi sociali è importante la prevenzione.
Visto che cavallari è un termine dispregiativo, coniato proprio dai cavalieri per discrimare chi fa pratica equestre meno costosa, e non indirizzata all'agonismo, cavallerizzi e cavalcanti sono ritenuti termini volgari, fantini definiscono esclusivamente gli ippici, equestri può essere il termine comune, neutro, moderno, per definire il 99% di coloro che vanno a cavallo.
Poi, chi fa agonismo indirizzato agli sport equestri olimpici, esattamente come in inglese non è necessario declinare "rider", perché si desume dal contesto, avrà la sua definizione che appare evidente senza ombra di dubbio per l'applicazione contingente, lo stesso per chi fa monta americana, equitazione da campagna, chi è innamorato del ruolo terapeutico del cavallo, gli "etologi" a cavallo, e oggi come oggi anche l'ippico preferirebbe essere definito equestre, probabilmente, per salire in popolarità, si definiranno nel contesto generale, senza discriminazioni di parole su sesso, casta, soldi in tasca o possibilità di accesso privilegiato alle risorse pubbliche.
In un mondo del cavallo così diviso e conflittuale, come quello odierno, l'uso consapevole delle parole è la chiave per l'evoluzione in positivo.
Se vogliamo cambiare il mondo del cavallo, in senso democratico e meritocratico, a valenza anche di tutela degli equini, oltre che delle persone dalle discriminazioni, cominciamo a cambiare le parole.